Con la stessa gratuità

E’ domenica e io amo questa piccola parrocchia, dove mi sento accolta, cercata, voluta bene. Non ci sono tanti altri motivi per stare qui, non è la mia casa, se mai ne ho avuta una, un posto in cui appendere il cappello, come diceva un racconto, una spalla su cui riposare, fermarsi. Fino a prova contraria infatti – lo dico solo una volta – io sono sana, sana come un pesce, non sono cronica, come dire, non è un problema congenito. Cronica è l’emarginazione, il rifiuto da più fronti, 360 gradi di rifiuto, che non so perché ci sia, ma io lo vedo benissimo da sempre e questo pesa, questo affiacca. Però da tutta la mia vita, che un po’ di esperienza me la consegna, e da tre giorni trascorsi in monastero, raccolgo una forte speranza di salvezza, che arride voi, voi tutti, proprio voi che non vi sentite compresi in questo voi e che magari solo un giorno per strada non mi avete sorriso o che avete mosso qualcosa in più. Ecco, anche questo ha da essere un piccolo promemoria, pubblico perché può essere utile non solo a me: anche quando tutto il mondo ti volta le spalle, c’è sempre lo sguardo amorevole di nostro Padre, ineludibile promessa di vita e soccorso, che con la stessa gratuità, totale gratuità con cui gli uomini ti ammazzano, ti abbraccia e ti solleva, ti chiama a sé, ti riveste di dignità, compagnia, ricchezza e qualsiasi altra cosa ti serva.

Ora come ora

Di questi tre giorni tengo tutto gelosamente con me, come tutto il resto – e perché mai pongo la questione, ci sarebbe forse una sola parola da scordare o da cambiare? Nel modo più assoluto no. Di questi tre giorni tengo il brivido di un tuffo, senza dimenticare che la mia vita ha da continuare qui per adesso, con precisi compiti e doveri da ottemperare, giornate di lavoro, di studio, obblighi di casa. Sono in movimento decifrabile, che anche qui cerco di orientare. E tengo l’affermazione, sicura e al tempo stesso sconvolta, nella nostra passeggiata lieve, entro il quadrato del chiostro: “Devo dirtelo in tutta sincerità, amica… io mi vivo, mi vedo, mi sento accesa d’Amore, a tal punto fatico a starne lontana”.

Rifacendo una veloce lista mentale di: priorità, persone a cui (non) è giusto accordare molta stima, cose che devo assolutamente rimediare di me, scadenze e ritmi quotidiani da rispettare, paure e limiti da riavvolgere e scartare, eccetera eccetera.

Non si contemplano i non

Ho quasi ventinove anni e non disdegno lo shopping. Mi piace ballare la musica reggae anche se preferisco il rock e la classica, ma la classica non si balla, mi dicono in regia, se non con le scarpette adatte. Sono felice da quando ho capito che non posso scappare più, perché le diagonali sono finite. Sono felice da quando riesco a dirmi che è finito il balsamo e i trucchi sono da buttare via. Soprattutto sono felice di vedere che prende tutto senso e ragionevolezza, anche quella volta (sei anni fa?) che parlai ad uno sconosciuto parroco di paese. Perché se quella volta era giusto non capirmi e facile ribattere “mi no te go mai vista”, questa volta non lo è: sarebbe anzi ingiusto, poco accorto e sindacabile; di più: io sono indignata, molto indignata, veramente offesa dell’indifferenza maliziosa e sigillata che preferirei non vedere, che preferirei proprio non spartire – se non in una sola, dedicata, maniera. Non per ribellione, non per scortesia: piuttosto per automedicazione, salvaguardia, amore della verità. E dignità personale, ecco, la stessa che molto spesso mi si è voluto, mi si vuole togliere.

Per andare oltre le macerie (ci vuole la bilocazione)

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Ci sono stati altri momenti come questo, altri paesaggi con macerie e ruderi, altre desolazioni. L’ultima volta ero a Roma e non avevo più la forza di reggermi in piedi né di trascinarmi verso la stazione per il ritorno, tanta era la vergogna e l’umiliazione. Che cosa era successo? L’unica persona rimasta capace di sorridermi nei mezzi pubblici, in quel bus dove mi rannicchiai con la faccia gonfia e gli occhi persi, era un frate francescano. Non sorrise per pietà: era un sorriso vero, da uomo a uomo, me lo ricordo, bello spontaneo, tutto per me. Anche quel giorno pensavo non ce ne fossero altri e di dover solo nascondermi al mondo, perché mi vedevo mostrificata, un pagliaccio, una persona ustionata dalla vita, con ustioni dappertutto, davvero inguardabile.

Così mi sento oggi, presa a strattoni da una parte e dall’altra, ma a distanza, con il bastone, come si fa con gli animali entro le gabbie dei circhi. Eppure io non mordo, non ne sono capace, non ne sono mai stata capace. Soprattutto vengo miscreduta, ridicolizzata, scacciata – è chiaro, evidente, proprio lapalissiano sai – come se il fiore che tengo in mano fosse uno scherzo, un gioco, un fiore di plastica con lo spruzzino ad aceto. Non è così, mi spiace per voi, non è divertente, non c’è di che ridere. Quanto a me, quel famoso bambino, così entusiasta e sincero, facilmente piange e butta via l’unico pupazzo che ha, se gli si dice guarda, anche quello, anche quello non è tuo e ride di te nel suo cuore di ovatta.

Dicevo all’inizio, ci sono stati altri momenti come questo: così so che si ricomincia sempre, ci si rialza, ci si guarda attorno. In che modo e dove io non so, però, io, questo fiore, la mia vita, l’invito, le scelte, la solitudine, la repulsione della società, non lo so, davvero io non so niente. Suggerimenti?

Potenza della poesia

Quindici chilometri in bicicletta e non sentirli: potenza della domenica! Ossigeno ai miei pensieri…

-Saresti pronta a rinunciare alla tua vita così?-
-Domanda mal posta… Direi che sono pronta a riprendermela, ad esserne restituita, ad essere riconoscente.

Ringraziare di cosa? Di tutto: ringraziare sempre, ringraziare di più, più di quello che è per me, ringraziare anche per gli altri.

E la solitudine? Qui ti ascolto, perché questa la voglio rimpinzare per bene, sistemare per le feste. Come dire, lascia stare, sono cianfrusaglie… le mie parole quando ribollono di scontento, dentro. Invece la vicinanza è qualcosa da aprire come un regalo, di quelli che vuoi salvare pure la carta, tanto è bella: un movimento di apertura, di tutela, di meraviglia. Allora guarda, nel 2014 sono rimasti in pochi quelli capaci di smascherarci. Lo devo dire io, da me, a me stessa, che sono piccola e ricamata, traforata che mi passa l’aria dentro, ma proprio in quegli spifferi riconosco qualcosa di eccellente, di cui mai mi vorrei privare. Attorno, lo sai, ci sono sterpaglia e civette, notte scura, la mia paura, le zanzare.. ma le stelle, ma le stelle

Arrangiamenti sul principio di non contraddizione

Mi rendo conto che questi post veloci sono esclusivamente la macedonia, dolce e sminuzzata, che si serve dopo un giro di pietanze molto nutrienti. Per chi si chiedesse quale può essere il mio stato d’animo in questi frangenti, risponderei innamorato sconvolto, e quale aggettivazione pesi più sull’ago della bilancia mi è difficile effettivamente stabilirlo. Ribadisco, però certa di questo, che ho la consapevolezza di essere sulla strada buona e mi stimo tantissimo per come a) riesco a tenere il timone anche in burrasca b) leggo tutto quello che succede, anche quello che non capisco, con estrema fermezza c) evito accuratamente di imborghesirmi spiritualmente. Quest’espressione mi è uscita su due piedi ma mi piace molto e la dice lunga su come vedo e vivo negli altri atteggiamenti di chiusura. Ma ora è bene che metta io una zip alla bocca, o meglio alle dita, per non dimenticare che sono solo un indifeso pulcino con tanti altri attorno alla chioccia e che in fondo, in fondo io non ho mai capito gran che.

* E a volte e a volte ho tanta paura di sbagliare, di offendere. Scivolare, orientarmi male; scavare la montagna con le mie unghie e non andare poi davvero verso la luce ma da un’altra parte…. sono pensieri di un momento, dubbi capitali. Scrutali, elidili, scartali, mostra cosa è buono.

Un dono troppo grande, un dono così forte

Lo vedi quando un regalo arriva ad imbarazzare chi lo riceve. Arrossisce un po’, piega la testa, dice davvero, davvero non era necessario, mi sembra troppo, troppo per me, non lo merito, spero di riuscire ad utilizzarlo. Succede a me che, da un po’, non so come gestire questo – eppure l’avevo richiesto: tornare ad avere uno sguardo semplice su tutte le cose, comprese quelle di fede, uno sguardo da bambino, uno sguardo da piccolo esploratore.

Forse il regalo più bello che ricevetti da altre mani fu la prima tavolozza di colori a olio, quando non mi ricordo bene, ma ero molto giovane, tanto che aspettai molti anni prima di utilizzarla e fare i primi abbozzi d’arte. Aspettai cinque o sei anni, perché io non potevo essere in grado, io non ero all’altezza di quegli uomini e di quelle donne che mi destavano tanto stupore nei musei. Tenevo da parte la cassetta di colori salutandola ogni giorno, spolverandola quando serviva: quella tavolozza era mia, ma io non ero, non ero pronta a stendere il colore.

Farò tesoro di questo e di quello, senza avere fretta di trovare le risposte che cerco e senza ubriacarmi di interrogativi.

E se diranno guarda che ragazzina, diremo bene, solo il peccato invecchia, corruga il cuore e raggrinzisce la faccia. 😛

Come Sloterdijk spirò (dalla libreria)

Chi studia Legge, studia o legge? Questo non lo so e non ho la malizia per dirlo, ma chi studia le scienze religiose, quando non studia, legge – o almeno io faccio così. Così nella biblioteca di uno dei paesi in cui ho avuto residenza – quanti e quali che siano, a volte non lo ricordo, e dovendo fare una lista dei migliori, non la saprei – trovo esposto un tomo del filosofo Peter Sloterdijk. Giusto in un momento di pausa, di quelli in cui ti trovi a guardare con sommo smarrimento il soffitto e ad annaspare dal caldo, che almeno in questa stagione si fa sentire, mi alzo dalla sedia, portamonete alla mano, per un caffè. Sfilo davanti alla libreria delle novità e dei testi di punta e non mi sfugge – non può sfuggirmi – il suo nome e il titolo della sua analisi. Personaggio interessante, Peter, irriverente e geniale, lui, che avevo apprezzato in passato su temi di filosofia politica insieme ad altri, nella comodità faidate della cultura tascabile. Quindi mi sbraccio in divano con il caffè in una mano e questo libro da sfogliare nell’altra. Già la quarta di copertina mi insospettisce, con una sintesi della società contemporanea in tensione acrobatica verso una prestazione totale dell’uomo in tutti i suoi aspetti, compreso quello spirituale, compresa la sua religiosità. Di vero c’è che il prestazionale spinge e rosica l’uomo di oggi a più livelli, lo frustra e lo condiziona, lo fa patire e ne determina il successo o ne sancisce la mediocrità, ne rinvigorisce la funzione sociale e il consenso, ne alimenta schemi di pensiero e influenza i suoi stili di vita. E’ una lettura apprezzabile fin qui. Scorro quindi l’indice scoppiando in un sorriso al capitoletto (perché davvero occupa una parte non rilevante nell’economia del testo) che ambisce trattare del senso in cui “tutto è compiuto” in Gesù, con piccoli e poco chiari riferimenti evangelici. Collegamento ardito per il nostro filosofo, che finisce per analizzare anche la vicenda del Messia in chiave acrobatica-prestazionale-rivoluzionaria. Va bene, questo è uno scoglio non facilmente aggirabile per qualsiasi filosofo: avere chiaro che siamo di fronte a logiche completamente altre, che il paragone tra Socrate e il Figlio di Dio non sussiste (anche io ci inciampai), e tanti altri pensieri che la lettura veloce nella pausa caffè e le mie scarse basi filosofiche non mi consentono di fare. Di questo, però, sono sicura: quel capitolo è poco scientifico e non richiederò un prestito bibliotecario per leggere tutti gli altri. Detto questo mi rintano nella mia spensierata ignoranza e vi auguro una giornata da Golden Globe.

La riserva del per sempre

Non basta una telefonata a raccontarsi, a far tastare agli amici l’intreccio colorato dei fili che ho da scegliere per il filato. Mi chiedono ragione di una persona che mi è vicina da molti anni e io finisco sempre a parlare di tutt’altro. Eppure è lì che mi scorgo, quando, con la naturalezza di un colpo di tosse, dico all’amica: immagina, immagina che spreco, avere una riserva naturale e costruirci un centro commerciale aperto anche di domenica.

Volevo dire, come altri hanno detto, questa è la mia eredità. Allora amica senti, io voglio proteggere quella riserva con un bel per sempre, vedere volare alte le aquile e saltare gli stambecchi, non per sogno, non per evasione; per sempre: pantote, quante parole vale l’eternità? quante la guarigione interiore? quante un minimo ma sincero contributo? quante il silenzio quando è buono, quando è ricco?

Ma sono solo immagini che le mie lenti da guardia forestale non mettono bene a fuoco e per adesso va bene così. Grazie, grazie amica perché ti sei addentrata fin qui.